Vogliamo diventare “Evoluzionari”?
In quest’ultimo decennio, alcuni autori hanno iniziato ad esplicitare in modo diretto – e ricco della giusta enfasi – quello che si potrebbe vedere come un nuovo meta-modello organizzativo. Sempre più spesso hanno posto sfide innovative e dato risposte creative alla tematica del cambiamento delle organizzazioni nei contesti oggi sinteticamente qualificabili come VUCA.
Illustrazione di Martin O’ Neill per strategy-business.com
Alle tensioni create in economia e nella società, alle popolazioni e alle persone, da un macrosistema volatile, incerto, complesso e ambiguo, purtroppo la maggioranza delle organizzazioni – soprattutto nei contesti business – non reagisce nel modo più determinato e sano. Si deve considerare che le organizzazioni profit-oriented resistono fortemente, per cultura e per “determinismo economico”, a prospettive aperte, non gerarchiche, non orientate ad obiettivi di breve termine, non orientate al comando e controllo – a prescindere dai formali, ripetitivi e ritualistici tributi nei confronti di una leadership di volta in volta diffusa o servant o inspirational.
Una ossessiva pratica di orientamento ai risultati, che non è solo gestionale, ma si fa anche sempre più spesso valore, mito, istituzione culturale nella società più allargata, rappresenta il dominio di una razionalità tecnica che troppo spesso va contro le esigenze della persona umana. Altro che “società liquida”, si può più realisticamente parlare di società monolitica solidificata intorno al mito dell’efficienza a tutti i costi, nei fatti anche in contrasto con l’efficacia, la soddisfazione di tutti gli stakeholder, il benessere e il buonsenso. Per comprendere meglio ciò che intendo, basterà considerare i frequenti paradossi della stupidità in cui incappano le grandi burocrazie meccanicistiche; o pensare ai progetti in corso per il brain hacking, promossi dai colossi di Internet, al cui confronto le intuizioni orwelliani sono solo una pallida anticipazione. Come sappiamo, culture ossessivamente dominate dalla ricerca dei risultati sono paradossalmente in grado di far esprimere una percentuale molto bassa del potenziale umano, il 20 o 30% circa, occupate come sono a massimizzare il controllo, le procedure, i meccanismi di filtro e di blocco, i sistemi di conformismo. E in più funzionano per le persone alla stessa stregua del ruolo giocato dalla dopamina all’interno dei meccanismi chimico-biologici del corpo umano: è una “droga” che dà soddisfazione forte nel breve tempo, esaurisce il suo effetto così da richiedere nuove dosi continuative (si pensi alla dipendenza da alcol e droghe, favorita nel nostro organismo proprio da questo neurotrasmettitore). Una organizzazione sana, che sappia liberare il potenziale delle persone, fondandosi sulla loro libertà e creatività, favorisce un processo simile a quello attivato dall’ossitocina, un piacere sano, appagante e duraturo che produce l’energia necessaria a nuove sfide.
Le più aggiornate riflessioni contro corrente rispondono con un atteggiamento critico radicale e umanistico. In altre parole, non si rivolgono solo alle aziende, né alle organizzazioni in genere, ma collocano la sfida del cambiamento anche al livello della persona – valorizzando dunque una prospettiva olistica, etica e umanistica, oltre che economico-aziendale.
Viene identificato il perché organizzativo e individuale quale leva per rifondare le organizzazioni – mettendo in secondo piano come semplicemente strumentali il come e il cosa. Si sottolinea poi il valore dell’empatia e della prospettiva: la prima, dal duplice punto di vista personale e sociale; la seconda, nel senso di indicare il valore di un approccio globale e potenzialmente infinito ai temi della competizione, come crescita e costante miglioramento di sé, piuttosto che ridursi ad una visione ristretta di lotta contro ogni singolo competitor.
È affascinante la possibilità di leggere la storia dell’evoluzione dei modelli organizzativi attraverso i secoli, in parallelo con la crescita sociale e di consapevolezza dell’uomo, così come dei paradigmi tecnologici e politici. Ciò per arrivare ad affermare l’esigenza, oggi, di un nuovo modello complessivo di governo dell’economia e della società – coerente con la crescita della nuova consapevolezza dell’uomo.
Gran parte di queste argomentazioni, ed i numerosi esempi pratici su cui si basano, ci rimandano al concetto dei Self Managing Team, nient’affatto nuovo nelle riflessioni accademiche (se ne parla da oltre 20 anni). Ciò che è innovativo è la prospettiva radicale della dimensione individuale all’interno di questa visione del mondo: la nuova consapevolezza dell’uomo favorisce e consente l’affermarsi di modelli socio-organizzativi aperti e di piena responsabilità diffusa.
Il ruolo delle aziende più consapevoli e dei leader più attenti ai profili etici e umanistici sarà quello di trovare una via specifica e distintiva per coniugare queste nuove concezioni dell’uomo e dell’organizzazione e questi nuovi modi di gestione – già realizzati, del resto, in molti esempi pionieristici – con le esigenze e i vincoli dei contesti competitivi.
Come elaborare creativamente questa visione complessa di tutte le criticità che ci sono di fronte, come la riflessione anche nel campo del management ci possa aiutare a realizzare il nostro personale approdo in orizzonti più gratificanti e rassicuranti degli attuali, sono i temi che possiamo individuare a questo punto.
Nel seguire il desiderio di illustrare un nuovo modo di fare organizzazione, coerente con le qualità “evoluzionarie” della natura umana, in questa seconda parte di questo testo voglio indicare una delle possibili tracce di percorso per gli individui e le organizzazioni.
Ricordando la metafora dell’ossitocina, l’ormone della felicità, teniamo presente il meccanismo positivo del cosiddetto flusso, attivo nei momenti della nostra vita in cui le energie si liberano e scorrono senza intoppi, e – presi in un’attività gratificante – non ci rendiamo conto del passare del tempo e produciamo liberi e felici. Ciò evidentemente è possibile solo se riusciamo ad equilibrare la tensione delle sfide che ci si parano davanti con la qualità e spessore delle nostre conoscenze. E questo è un obiettivo che dovrebbe essere preso in carico da qualsiasi sistema educativo, istituzionale o aziendale, così come da ognuno di noi, allorché ci si voglia mettere alla guida dei nostri processi di apprendimento e di cambiamento.
Di più, le riflessioni contemporanee più critiche ritengono che tale compito educativo-“evoluzionario” sia compito dei nostri contenitori sociali, in primo luogo le organizzazioni di lavoro; ma – allo stesso tempo – non ripongono eccessiva fiducia nelle attuali configurazioni aziendali. Tanto che molti, con visionario pragmatismo, propongono le nuove forme di auto-organizzazione nelle quali individui liberi lavorano autonomi da regole sovraordinate e da procedure decise da qualche distante staff, seguendo le loro spontanee capacità di coordinamento e la legge dello scopo profondo della loro organizzazione, che si sono dati in pieno e reciproco accordo. Gli esempi di realizzazioni concrete che vengono forniti sono davvero incoraggianti, e insieme mi rendono convinto della necessità di una certa “strutturazione della consapevolezza” e della pratica di una precisa metodologia.
Qui sta il punto: gli individui – e auspicabilmente le organizzazioni che possono sostenerli – devono rendersi conto del percorso da intraprendere per realizzare qualsiasi cambiamento personale (primo passo essenziale per i cambiamenti agli ulteriori livelli sociali e organizzativi). Il percorso è valido per tutti i processi di apprendimento e, necessariamente, per quelli di cambiamento personale: lo si può dividere in due blocchi logici. Il primo è quello introspettivo, e consiste nell’acquisizione di consapevolezza (di sé, dell’interesse al cambiamento, di gap da colmare o di mete da superare) e nella cura del desiderio di un cambiamento possibile (dell’impegno correlato).
I passi successivi sono quelli dell’attivazione, articolata in conoscenze, abilità e rinforzo. Le nuove conoscenze sostengono il nostro cambiamento ponendosi come il primo passo della propria attivazione verso un nuovo stato (un nuovo mondo ci si apre dinanzi!). Poi seguono le abilità pratiche per rendere credibile e concretizzabile il cambiamento. Infine, dobbiamo ottenere un rinforzo positivo dal nostro contesto (personale, familiare, sociale, aziendale), affinché la crescita non sia velleitaria e autoreferenziale.
Persone che sappiano realizzare sistematicamente questo percorso e si pongano in una prospettiva di crescita continua corrispondono gradualmente a un nuovo stadio di coscienza umana e contribuiscono a rendere praticabili le configurazioni organizzative dell’auto-organizzazione, in cui si realizzano i valori umanistici della saggezza oltre la razionalità, della pienezza che supera la partizione dell’uomo, della fiducia, del costruire sui punti di forza e non sulle paure. Quando le persone vivono intensamente in queste nuove configurazioni diventano capaci di ascoltare e seguire lo scopo “evoluzionario” delle stesse, che emana spontaneamente da un assetto integrato tra organizzazioni, persone, ambiente e relazioni. Le persone possono così produrre basandosi su un ricco capitale sociale, fatto di fiducia, in se stessi, nei colleghi e all’interno del sistema degli stakeholder organizzativi. Nei contesti basati sulla fiducia all’interno di un paradigma di auto-organizzazione, ciascuna persona comunica e riproduce il sense making organizzativo. Ciascuno diviene guida e follower in una relazione di ricca reciprocità con i suoi colleghi.
Questo è il contesto nel quale il potenziale di ogni singolo individuo e dei gruppi può manifestarsi appieno e produrre evoluzione costante, cambiamento e crescita; a livello sociale e economico-politico, si produce valore nel rispetto del sistema sociale e dell’ambiente. E tutto, evidentemente, ciò può darci la misura del valore profondo per tutti noi di queste configurazioni future.
Articolo a cura di Giuseppe De Feo
Alcune letture che mi hanno stimolato:
Simon Sinek, Partire dal Perché, Franco Angeli, 2014
Yuval Noah Harari, 21 lezioni per il XXI secolo, Bompiani, 2018
Martin P. Seligman, Flourish – A new understanding of happiness and well-being, Nicholas Brealey Publishing, 2011
Frederic Laloux, Reinventare le organizzazioni, GueriniNEXT, 2016
Jeff Hiatt, ADKAR – a model for change in business, government and our community, PROSCI, 2006
Un primo testo sulla possibilità di cambiare le nostre organizzazioni partendo contemporaneamente dal livello strategico e da quello della nuova consapevolezza umana, personale e collettiva.
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